Oggi ho ascoltato per la prima volta questa meravigliosa canzone/poesia di Roberto Vecchioni e mi è venuta voglia di pubblicarne il testo.
Ho conosciuto il dolore
(di persona,
s’intende)
e lui mi ha
conosciuto:
siamo amici da
sempre,
io non l’ho mai
perduto;
lui tanto meno,
che anzi si sente
come finito
se, per un giorno
solo,
non mi vede o mi
sente.
Ho conosciuto il
dolore
e mi è sembrato
ridicolo,
quando gli dò di
gomito,
quando gli dico in
faccia:
”Ma a chi vuoi far
paura?”
Ho conosciuto il
dolore:
era il figlio
malato,
la ragazza perduta
all’orizzonte,
il sogno svanito,
la miseria dopo
l’avventura;
era il brigante
all’angolo
che mi chiedeva la
vita;
era il presuntuoso
tumore che mi porto dentro
da una cellula
impazzita;
era Dio, che non
c’era
e giurava, ah se
giurava, di esserci;
la sconfitta patita,
l’indifferenza del
mondo alla fame,
alla povertà, alla
fatica;
l’ho conosciuto
e l’ho preso a
colpi di canzoni e parole
da farlo tremare,
da farlo
impallidire,
da farlo tornare
all’angolo,
pieno di botte,
che nemmeno il suo
secondo
sapeva più come
farlo di nuovo salire sul ring,
continuare a boxare.
E, un giorno, l’ho
fermato in un bar,
che neanche lo
conosceva la gente;
l’ho fermato per
dirgli:
“Con me non puoi
niente!”
Ho conosciuto il
dolore
ed ho avuto pietà
di lui,
della sua
solitudine,
di questo cavolo di
suo mestiere;
l’ho guardato negli
occhi,
che sono voragini e
strappi
di sogni infranti:
“Ti vuoi fermare un
momento?”, gli ho chiesto,
”Ti vuoi sedere?
Vieni con me,
andiamo insieme a
bere.
Hai fatto di tutto
per disarmarmi la
vita
e non sai, non puoi
sapere
che mi passi come
un’ombra sottile sfiorente,
appena-appena toccante,
e non hai vie
d’uscita
perché, nel cuore
appreso,
in questo attendere
anche in un solo
attimo,
l’emozione di amici
che partono,
figli che nascono,
sogni che corrono
nel mio presente,
io sono vivo
e tu, mio dolore,
non conti un cazzo
di niente”
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