mercoledì 30 ottobre 2013

Magica MAGIA


Arrieccoti!...sei tornato…dopo appena quattro mesi ti ripresenti in un posto diverso e con una forma diversa! ma si può sapere cosa vuoi da me? cosa ti ho fatto? ma ti piace tanto il mio corpo all’interno del quale da venti mesi passeggi liberamente senza chiedere né permesso di soggiorno, né asilo politico? Non ti dò il benvenuto perché sai già di essere un ospite sgradito e indesiderato. Ti odio e ti maledico, giuro che anche questa volta non mi piegherai, vade retro!...anzi… ti dirò che stanotte con una di quelle tante strane giravolte della mente , ho respirato e ho applicato la mia magica MAGIA:

Finché qualcosa non accade, semplicemente non sta accadendo.
Finché non farò quegli esami che mi spaventano tanto non li starò facendo.
Finché il bisturi non mi trapasserà la ciccia nessun bisturi mi sta trapassando la ciccia.
Inutile pensarci prima.
Inutile immaginarsi prima il nome che avrà.
Superfluo chiedermi cosa succederà. Perché succederà indovinate quando?
DOPO!
E prima è ADESSO e adesso ho da fare.
Ditemi voi se questa non è magìa vera!

La speranza, ho imparato, può essere pesante.
Meglio una quieta fiducia.
E tra gli ostacoli del cuore e della mente, mi sono riaddormentata…

domenica 27 ottobre 2013

Pausa di riflessione

 
 


...nel prossimo post vi spiegherò con chi e perché sono inxxxxata nera.
 Buona domenica

lunedì 21 ottobre 2013

La peggio gioventù...

Perché pubblico questo articolo di Concita De Gregorio? perché riassume nel miglior modo quello che ho pensato anch'io quando ho saputo dello stupro di gruppo perpetrato ai danni di una bambina sedicenne. Non è la prima volta che succede e non sarà l'ultima... e allora mi chiedo: a cosa servono fiumi di inchiostro e cascate di parole ogniqualvolta succedono queste e altre nefandezze a danno delle bambine e delle donne, dov'è che bisogna agire, qual è il perno su cui agire affinché si concretizzi il concetto di rispetto nella mentalità di tutti noi? poi parliamo di solidarietà per i migranti, quando un intero gruppo di amici (???) ha assistito allo stupro della compagna, senza che nessuno sia intervenuto in sua difesa o abbia denunciato il fatto? il quale è avvenuto alla fine di agosto e solo ora se ne è venuti a conoscenza, ma perché la ragazza stuprata ha denunciato quando, ormai esasperata, si vedeva anche derisa e  sbeffeggiata su Facebook e su altri stupidi social network che sono ormai diventati spunti propulsivi all'odio, al razzismo, ai suicidi, agli stupri di massa, agli incontri pericolosi. Non ci sono più parole: succede l'incredibile!
 
La sedicenne di Modena che ci svela il nostro abisso (CONCITA DE GREGORIO).
da La Repubblica del 21/10/2013.
QUALCUNO DICA CHE QUEL GIOCO NON È UN GIOCO.
CE L’AVETE, ce l’avete avuta una figlia di sedici anni?
Che si veste e si trucca come la sua cantante preferita, che sta chiusa in camera ore e a tavola risponde a monosillabi, che quando la vedete uscire con il nero tutto attorno agli occhi pensate mamma mia com’è diventata, ma lo sapete, voi lo sapete che è solo una bambina mascherata da donna e vi si stringe il cuore a vederla uscire fintamente spavalda. Dove va, a fare cosa, con chi. Ve li ricordate, i vostri sedici anni? Quando Facebook non c’era e passavate pomeriggi al telefono fisso a dire no, sì, ma dai…, e poi quando vostro padre vi diceva ora basta, libera quel telefono vi chiudevate in camera, anche voi, a scrivere a penna su quaderno ché il computer non c’era, e se c’era era uno solo, enorme, sempre spento, inaccessibile. Ecco, fate lo sforzo di ricordare perché una ragazza di sedici anni è quella cosa lì, da sempre e per sempre anche se cambiano i modi e le mode, i vestiti e le canzoni, i modi di parlarsi perché con la chat si fa più in fretta ma è uguale, in fondo.
È COME stare pomeriggi interi al telefono, a canzonare il tempo a prenderlo in contropiede e ingannarlo. Una ragazza di sedici anni è una persona a cui la vita deve ancora succedere e non lo sa, e ha un po’ paura e un po’ fretta, e molto desiderio che passi veloce il momento e che arrivi quello, alla meta dei diciotto, in cui “nessuno mi può obbligare, ora”.
Io non lo so, nessuno lo sa tranne lei e quelli che erano lì, cosa è successo alla ragazzina di Modena che – dicono gli investigatori, i parenti, ora anche gli adulti che rivestono incarichi pubblici – una sera d’estate a una festa di compagni di scuola è stata violentata da cinque, sei, non è sicuro quanti amici. Amici, attenzione. Nessun livido, nessun graffio, nessun segno di violenza che segnali la sopraffazione fisica in senso proprio. Erano compagni di scuola. Alcuni maggiorenni da poco, varcata l’agognata meta dei diciotto, altri, almeno uno, no. Aveva bevuto lei, avevano bevuto probabilmente tutti perché come sa chi si guarda intorno gli adolescenti, oggi, bevono. Superalcolici, moltissimo. Costano meno delle droghe, spesso si trovano nelle case già disponibili all’uso. Shortini, alla mescita. Pochi euro a bicchiere, nessuno chiede la carta d’identità. Bevono i quindicenni come i trentenni, uguale.
Io non lo so com’è andata, quella sera, in una casa della più rassicurante delle città emiliane, la Modena delle scuole modello degli imprenditori che non si arrendono al terremoto, delle donne imprenditrici che vendono figurine nel mondo, dei ristoranti celebrati oltreoceano. Uno faceva il palo, scrivono gli agenti di polizia, gli altri a turno nella stanza “avevano rapporti sessuali completi” con la ragazzina. Non c’è niente di più algido di una relazione, niente di meno adatto a descrivere il tumulto, il disordine, lo sgomento, la resa. Lei cosa pensava, come stava, cosa voleva, cosa diceva? Non si sa, nessuna relazione può raccontarlo.
Dicono, i verbali, che erano tutti ragazzi “incensurati e di buona famiglia”. Aggiungono, le cronache, che sono passati quasi due mesi dall’evento e che nessuno – nessuno – ha fatto un gesto o ha detto qualcosa, né a scuola né in famiglia, nelle molte famiglie coinvolte, che somigliasse alla presa d’atto di un reato, o quanto meno di una vergogna, di una colpa, di un dispiacere. Niente, silenzio. Il sindaco ieri ha detto che “inquieta che questi ragazzi non distinguano il bene dal male”. Inquieta, certo. Pone il problema della responsabilità. È loro, che geneticamente, naturalmente non sanno distinguere o è della generazione che li ha cresciuti, e non gli ha fornito i ferri essenziali per l’opera di elementare distinzione? È dei figli o dei padri, la colpa?
Anni fa, a Niscemi, Caltanissetta, un gruppo di minorenni massacrò di botte, strangolò con un cavo di antenna e gettò in una vasca di irrigazione una coetanea, Lorena Cultraro, 14 anni. Era incinta, rivelò l’autopsia. Uno degli assassini, quindicenne, chiese al giudice, dopo aver confessato l’omicidio: “Ora che le ho detto cosa è successo posso tornare a casa?”. A vedere la tv, a giocare alla play. Tornare a casa. Era il 2008, cinque anni fa. Si scrissero articoli sgomenti, intervennero psicologi di fama, dissero che certo in quelle zone del Paese, al Sud, è tutto più difficile. Zone d’ombra, povertà di mezzi e di sapere, l’adolescenza sempre un enigma. Ora, cinque anni dopo, siamo a Modena. Emilia culla di bandiera di democratica civiltà e di sapere. Certo questa ragazzina non è morta, per sua fortuna. Forse non ha nemmeno lottato per evitare quel barbaro rituale che chissà, magari era proprio quello che l’avrebbe fatta diventare grande, finalmente. Forse per qualche tempo ha pensato: è stato quello che doveva essere.
Però arriverà, deve arrivare, il momento il tempo e il luogo in cui qualcuno di molto molto autorevole senza essere per questo canzonato e dal coro irriso dica no, non è quello che deve, non è questo che devi accettare per essere accettata. Non devi fare silenzio. Verrà il giorno in cui questo tempo avariato scadrà e sarà buttato come uno yogurt andato a male e ricominceremo tutti, dalle case, dalle televisioni, dai giornali, dalle scuole elementari a dire alle bambine: quando ti chiedono di stare al loro gioco, digli di no. È un gioco sbagliato, non è il tuo gioco. Non è nemmeno un gioco.
Verrà il giorno in cui capiremo l’abisso in cui siamo precipitati pensando che fosse l’anticamera del privé del Billionaire, che fortuna essere ammessi all’harem, e sapremo di nuovo dire, come i nostri nonni ci dicevano: è una trappola, bambina. Quando ti chiedono di mostrargli le mutande non è vero che si alza l’auditel, come dice la canzone scema. Quando te lo chiedono vattene, ridigli in faccia e torna a casa.
 
 

domenica 13 ottobre 2013

Chetempochefa

Vi invito alla visione del video del grande Erri De Luca: ascoltate bene le parole, interpretate nel novembre 2009 durante la trasmissione "Che tempo che fa" e capirete che il tempo è sempre quello, nulla è cambiato. Consiglio a tutti di leggere i libri di Erri De Luca perché ha un modo fluido, incisivo, carismatico di narrare le umane vicende che affascina.
 Buona visione
 
 






 

venerdì 11 ottobre 2013

“Una bambina, un insegnante, un libro e una penna…


…possono cambiare il mondo”:
sono queste le parole che la piccola Malala pronunciò alle Nazioni Unite il 12 luglio scorso, il giorno del suo sedicesimo compleanno e proprio ieri Malala Yousafzai ha ricevuto dal Parlamento europeo il premio Sakharov.
Ma chi è Malala che ha pronunciato questa significativa frase che rende onore all’importanza della scuola, della conoscenza dell’istruzione (cosa che i nostri alunni non apprezzano)?
Sfuggita per miracolo alla morte per mano dei talebani, il 9 ottobre del 2012, quando nacque, nel 1997, in una zona ancora ricca del Pakistan,  il padre di Malala  aveva coronato il suo sogno, quello di fondare una scuola. All’epoca era frequentata da un migliaio di scolaretti. L’uomo è titolare di un master e, grazie agli  studi ha addolcito le sue convinzioni tradizionaliste e fondamentaliste: nello Swat  (il paese dove nasce e vive Malala) è fra i pochi che festeggiano la nascita di una figlia femmina chiedendo agli amici di lanciare sulla culla dolci, frutta secca e monetine, ma si infuria quando Malala gli porta il bigliettino che Harun, un suo ammiratore di 17 anni, le ha lasciato sul cancello.
La madre di Malala è bellissima e analfabeta. Il 3 gennaio del 2009 la ragazzina scrive sul suo diario:

“Ho avuto un sogno terribile ieri. C’erano gli elicotteri e i talebani. Ritorna da quando i militari hanno lanciato l’offensiva nello Swat. Mia mamma mi ha preparato la colazione. Sono andata a scuola con una grandissima paura. I talebani hanno emesso un editto che vieta a tutte le ragazze di frequentare le classi. Nella mia gli alunni sono scesi da 27 a 11. Dopo l’editto tre mie amiche si sono trasferite a Peshawar, a Lahore e a Rawalpindi”.
 
Dal 2007 le radio locali martellano i cervelli con le minacce degli studenti di Allah, soprattutto ordinano alle ragazze di disertare le aule. Il papà di Malala chiede protezione all’esercito per il suo istituto scolastico ed ebbe come risposta l’assoluta garanzia di sicurezza per la scuola e per gli scolari.
In un’altra pagina del suo diario (18 gennaio 2009)  Malala scrive:

“Qui nello Swat ogni giorno sentiamo notizie di tanti soldati uccisi o rapiti. Ma la polizia è del tutto invisibile. I nostri genitori sono terrorizzati. Ci hanno detto che non vorrebbero mandarci a scuola almeno fino a quando i talebani avranno annunciato alla radio che le fanciulle possono studiare. Le bimbe non possono dover acquisire coscienza di queste cose a 9, 10 anni o 11 anni”.
 
Malala ne ha appena 12. Il padre la segnala alla Bbc per un blog in urdu, la sua seconda lingua dopo il pashtun: nasce il “diario di una alunna pakistana”. E’ anonimo, ma non per volontà di Malala. Lei vuole gridare le sue idee. Nel febbraio del 2009 partecipa ad uno show televisivo  che va in onda dallo Swat.
Nel 2012 gli studenti di Allah sembrano piegati. La vita pare scorrere normale. La mamma di Malala l’ha convinta a prendere un minibus per andare a seguire le lezioni. Ritiene che sia più sicuro. Il 9 ottobre la ragazzina è appena uscita da scuola con la sua amica Moniba. Nota che le strade sono inspiegabilmente deserte. Due giovani salgono sul pick up. Chiedono: “Chi è Malala?”… quasi meccanicamente le compagne si girano verso di lei. Le sparano. Un proiettile entra sotto il ciglio sinistro, le perfora superficialmente il cranio e si ferma nella schiena.
Malala si salva per miracolo. Quando riemerge dal coma all’ospedale di Birmingham, la prima parola che scrive assemblando lettere magnetiche dell’ alfabeto su una lavagnetta è “country”. Vuole sapere in quale Paese si trova. La seconda è “padre”. Poi verga su un blocnotes rosa: “Chi mi ha fatto questo?”

Malala non molla e ai talebani che, chiusi nel loro fanatismo fondato sull'ignoranza e costruito con la forza del piombo, sono tornati a ripetere le loro minacce di morte contro di lei che li ha sfidati da quando aveva 11 anni per difendere il suo diritto allo studio, risponde con fierezza

“Io non voglio che il mio futuro sia imprigionato fra quattro mura a cucinare e a fare figli”.



 N.B. Il Premio Sakharov per la libertà di pensiero è un riconoscimento dedicato allo scienziato e dissidente sovietico Andrej Dmitrievič Sacharov, istituito dal Parlamento europeo nel 1988 allo scopo di premiare personalità od organizzazioni che abbiano dedicato la loro vita alla difesa dei diritti umani e delle libertà individuali





giovedì 3 ottobre 2013

Questa è la pace!

 
La pace non è un concetto astratto. La pace è un’azione verso gli uomini, le donne, i bambini. Non c’è altro paese al mondo in cui vediamo mettere in pratica questo impegno in modo così costante e determinato. Quel paese, un piccolo paese disperso in mezzo al mare, è Lampedusa. Con tutti i suoi abitanti, i soccorritori, i medici, i volontari. In queste ore, la gente di Lampedusa ancora una volta ha portato a terra i vivi e raccolto i morti.
Lampedusa è così. Gente che non fa differenza tra amici o nemici. Connazionali o stranieri. Cittadini o clandestini. Ecco perché una volta seppellite le decine e decine di morti e placate le polemiche, dopo aver premiato nel 2012 l’Unione Europea, colpevole assente in questa tragedia sulle sponde del Mediterraneo, il Nobel per la pace dovrebbe andare agli abitanti di quest’isola, capitale mondiale d’umanità.

Ma non posso non essere ipercritica (come sempre): il governo ha istituito un ministero, quello dell’integrazione. Mi chiedo: cosa fa il ministro in carica, oltre ad interessarsi del riconoscimento della cittadinanza ai figli degli immigrati nati sul suolo italiano (il cosiddetto ius soli) e al nome da dare ai genitori di figli delle coppie omosessuali (genitore 1/genitore 2)?
Non è il caso che cominci ad occuparsi anche del vero problema dell’immigrazione che viene prim'ancora dell'integrazione?
Voglio ricordare a questo ministro e a tutti i soloni della UE le parole di Papa Francesco, in visita a Lampedusa l’8 luglio scorso:

“Chi è il responsabile del sangue di questi fratelli e sorelle? Nessuno! Tutti noi rispondiamo così: non sono io, io non c’entro, saranno altri, non certo io. Ma Dio chiede a ciascuno di noi: «Dov’è il sangue di tuo fratello che grida fino a me?». Oggi nessuno nel mondo si sente responsabile di questo …  Chi di noi ha pianto per questo fatto e per fatti come questo?, chi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini? Per questi uomini che desideravano qualcosa per sostenere le proprie famiglie?"

Restiamo umani

L'insostenibile leggerezza di un ex