venerdì 11 ottobre 2013

“Una bambina, un insegnante, un libro e una penna…


…possono cambiare il mondo”:
sono queste le parole che la piccola Malala pronunciò alle Nazioni Unite il 12 luglio scorso, il giorno del suo sedicesimo compleanno e proprio ieri Malala Yousafzai ha ricevuto dal Parlamento europeo il premio Sakharov.
Ma chi è Malala che ha pronunciato questa significativa frase che rende onore all’importanza della scuola, della conoscenza dell’istruzione (cosa che i nostri alunni non apprezzano)?
Sfuggita per miracolo alla morte per mano dei talebani, il 9 ottobre del 2012, quando nacque, nel 1997, in una zona ancora ricca del Pakistan,  il padre di Malala  aveva coronato il suo sogno, quello di fondare una scuola. All’epoca era frequentata da un migliaio di scolaretti. L’uomo è titolare di un master e, grazie agli  studi ha addolcito le sue convinzioni tradizionaliste e fondamentaliste: nello Swat  (il paese dove nasce e vive Malala) è fra i pochi che festeggiano la nascita di una figlia femmina chiedendo agli amici di lanciare sulla culla dolci, frutta secca e monetine, ma si infuria quando Malala gli porta il bigliettino che Harun, un suo ammiratore di 17 anni, le ha lasciato sul cancello.
La madre di Malala è bellissima e analfabeta. Il 3 gennaio del 2009 la ragazzina scrive sul suo diario:

“Ho avuto un sogno terribile ieri. C’erano gli elicotteri e i talebani. Ritorna da quando i militari hanno lanciato l’offensiva nello Swat. Mia mamma mi ha preparato la colazione. Sono andata a scuola con una grandissima paura. I talebani hanno emesso un editto che vieta a tutte le ragazze di frequentare le classi. Nella mia gli alunni sono scesi da 27 a 11. Dopo l’editto tre mie amiche si sono trasferite a Peshawar, a Lahore e a Rawalpindi”.
 
Dal 2007 le radio locali martellano i cervelli con le minacce degli studenti di Allah, soprattutto ordinano alle ragazze di disertare le aule. Il papà di Malala chiede protezione all’esercito per il suo istituto scolastico ed ebbe come risposta l’assoluta garanzia di sicurezza per la scuola e per gli scolari.
In un’altra pagina del suo diario (18 gennaio 2009)  Malala scrive:

“Qui nello Swat ogni giorno sentiamo notizie di tanti soldati uccisi o rapiti. Ma la polizia è del tutto invisibile. I nostri genitori sono terrorizzati. Ci hanno detto che non vorrebbero mandarci a scuola almeno fino a quando i talebani avranno annunciato alla radio che le fanciulle possono studiare. Le bimbe non possono dover acquisire coscienza di queste cose a 9, 10 anni o 11 anni”.
 
Malala ne ha appena 12. Il padre la segnala alla Bbc per un blog in urdu, la sua seconda lingua dopo il pashtun: nasce il “diario di una alunna pakistana”. E’ anonimo, ma non per volontà di Malala. Lei vuole gridare le sue idee. Nel febbraio del 2009 partecipa ad uno show televisivo  che va in onda dallo Swat.
Nel 2012 gli studenti di Allah sembrano piegati. La vita pare scorrere normale. La mamma di Malala l’ha convinta a prendere un minibus per andare a seguire le lezioni. Ritiene che sia più sicuro. Il 9 ottobre la ragazzina è appena uscita da scuola con la sua amica Moniba. Nota che le strade sono inspiegabilmente deserte. Due giovani salgono sul pick up. Chiedono: “Chi è Malala?”… quasi meccanicamente le compagne si girano verso di lei. Le sparano. Un proiettile entra sotto il ciglio sinistro, le perfora superficialmente il cranio e si ferma nella schiena.
Malala si salva per miracolo. Quando riemerge dal coma all’ospedale di Birmingham, la prima parola che scrive assemblando lettere magnetiche dell’ alfabeto su una lavagnetta è “country”. Vuole sapere in quale Paese si trova. La seconda è “padre”. Poi verga su un blocnotes rosa: “Chi mi ha fatto questo?”

Malala non molla e ai talebani che, chiusi nel loro fanatismo fondato sull'ignoranza e costruito con la forza del piombo, sono tornati a ripetere le loro minacce di morte contro di lei che li ha sfidati da quando aveva 11 anni per difendere il suo diritto allo studio, risponde con fierezza

“Io non voglio che il mio futuro sia imprigionato fra quattro mura a cucinare e a fare figli”.



 N.B. Il Premio Sakharov per la libertà di pensiero è un riconoscimento dedicato allo scienziato e dissidente sovietico Andrej Dmitrievič Sacharov, istituito dal Parlamento europeo nel 1988 allo scopo di premiare personalità od organizzazioni che abbiano dedicato la loro vita alla difesa dei diritti umani e delle libertà individuali





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