domenica 26 agosto 2012

La Luna piange


“Ha toccato, ha toccato!”…così gridava un esagitato Tito Stagno in quel lontano 20 luglio 1969, quando per la prima volta un uomo mise piede sulla luna. E oggi quella Luna piange perché quell’uomo coraggioso, Neil Armstrong se ne è andato, in silenzio così come aveva vissuto tutti questi anni dopo aver inviato alla Terra la frase più famosa che un essere umano abbia mai pronunciato:


 «È un piccolo passo per un uomo, ma un grande passo per l’umanità».
 
 
 
 
 
 
 
Ricordo, ero un’adolescente con la testa piena idee e speranze per il mio futuro e vissi in diretta televisiva quell’evento come una speranza per tutti, una possibilità per ognuno di migliorare la propria condizione, una svolta in campo scientifico e tecnologico che avrebbe reso più facile la vita di tutti. E così è stato: tante cose di cui oggi possiamo godere, anche in campo sanitario, vengono proprio da lì, da quel piccolo passo di un uomo schivo che avrebbe potuto arricchirsi tenendo conferenze, concedendo interviste, accettando i posti che gli venivano offerti dalle più importanti multinazionali del pianeta, e invece scelse di percorrere il resto della sua vita in silenzio, con riservatezza, proprio lui, l’uomo che avrebbe potuto avere qualunque cosa sulla Terra e che rinunciò a ogni cosa perché aveva già avuto tutto in un luogo molto più lontano.
Andare sulla Luna è stato difficile e costoso. Ma senza il coraggio di Neil Armstrong non sarebbe mai stato possibile.

E perciò oggi anche la Luna piange … Grazie, Neil!

La città delle donne senza volto

Mi permetto di copiare e incollare un articolo tratto dal "Corriere della sera" di oggi, per dare ad esso la massima divulgazione affinchè più persone possano venire a conoscenza di come ancora oggi, nel 2012, le donne siano considerate meno di niente. L'articolo è del giornalista Ettore Mo, giornalista italiano, tra i più famosi corrispondenti di guerra, inviato speciale del Corriere della Sera che ringrazio per gli interessanti articoli sulla condizione delle donne nei diversi paesi del mondo. Buona lettura!


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in poco più di dieci anni, le aggressioni al vetriolo sono state oltre 2.400

La città delle donne senza volto

Bruciate con l'acido da mariti gelosi o fidanzati respinti Viaggio a Satkhira, il villaggio-ghetto del Bangladesh
 

in poco più di dieci anni, le aggressioni al vetriolo sono
La città delle donne senza

Bruciate con l'acido da mariti gelosi o fidanzati respinti Viaggio a Satkhira, il villaggio-gheDACCA (Bangladesh) - Neanche un mese e la sua amorevole zia aveva già pensato di lubrificarlo con qualche goccia di acido solforico e rispedirlo in paradiso. Motivo? La gelosia che la donna nutriva nei confronti della sorella (o cognata) per aver messo al mondo un maschietto, mentre a lei era toccata in sorte soltanto una bambina.
Cose che avvenivano e tuttora avvengono nel Bangladesh, uno dei più popolosi Paesi asiatici (140 milioni di abitanti), dove fin dalla più tenera età la condizione delle donne sembra essere tra le più ardue del mondo: condizione che non si esaurisce nel tumultuoso e affollato «girone» delle prostitute, indagato nel precedente reportage, ma riguarda tutti gli aspetti del vivere quotidiano.
Delitti e regolamenti di conti in questa remota contrada, chiusa fra India e Birmania e affacciata sul Golfo del Bengala, sono per lo più provocati da promesse di matrimonio non mantenute o da dispute su case, terreni e interessi economici di vario genere. Una specie di guerra locale, in cui si fa ricorso ad un'arma estremamente silenziosa ma letale: l'acido, appunto.
Che costa poco ed è abbondante: esso viene infatti usato ogni giorno per la produzione e lavorazione dei gioielli mentre fa inorridire il fatto che lo si sfrutti anche per deturpare il volto di tante donne. Secondo i dati dell'Acid Survivors Foundation, nell'ultimo decennio sarebbero state almeno 450 all'anno le vittime del disgustoso veleno spruzzato in faccia al gentil sesso. Tra queste la signorina Fozila, che anni or sono subì l'aggressione dell'ex fidanzato respinto e ne uscì col volto devastato: «Per cui da allora - ha ammesso senza rimpianti - non ho più osato guardarmi allo specchio».
Bangladesh, le donne sfigurate dall'acido
Prima di intraprendere il nuovo pellegrinaggio nei «distretti - urbani e rurali - del vizio» sono investito dalla parole di una ragazzina che, mettendo a rischio l'integrità della laringe mi grida: «Ho cominciato a prostituirmi a 11 anni e adesso ne ho 17. Tutta colpa di quella zoccola di mia mamma, che non ho mai perdonato, anche se adesso ha smesso di battere. Per me, ormai, non c'è più scampo. Finirò i miei giorni qui dentro. Ma fin che campo, i clienti li voglio giovani». E bocca di rosa si spiega meglio, aggiungendo, senza perfidia: «Per gli anziani come te non c'è posto nel mio letto».
Durante una visita al Dhaka Medical College and Hospital, l'ospedale maggiore della capitale, ci dà il benvenuto una paziente di 21 anni, Helena, sulla cui pelle, dopo un violento alterco col marito, la vampa bollente dell'acido ha lasciato una ragnatela indelebile di lividi e cicatrici. Al fratello che ogni settimana viene a trovarla chiediamo se intende fare denuncia. Neanche per sogno, è la risposta immediata ed è subito chiaro che non ha alcuna intenzione di fornire spiegazioni sul proprio comportamento: che è comunque del tutto simile a quello di migliaia di mariti, autorizzati per tradizione millenaria a infliggere punizioni corporali alle mogli troppo indipendenti e civettuole.
Il machismo, nel Bangladesh, ha connotati suoi propri: ma non sembra esservi dubbio che nel Paese la sottomissione delle donne, il loro status sociale, i doveri e le consuetudini cui devono attenersi per non violare la netta linea di demarcazione fra i due sessi abbiamo finito per trascinarle fatalmente verso il «girone» della schiavitù dove sono confinate a vita le inquiline dei bordelli.
Asma Akhtar aveva 12 anni quando un ragazzo del suo villaggio le chiese di sposarlo: offerta drasticamente respinta dalla famiglia di lei, perché nella scala sociale lui era al di sotto di almeno un paio di gradini. E adesso, grazie alla punizione che ne è seguita, i lineamenti della sua incantevole adolescenza stanno aggrovigliati in una maschera buia, appena rischiarata dalla fioca luce dell'unico occhio rimasto incolume.
Stessa amara sorpresa per Monjla, 19 anni, che pure aveva fatto un «matrimonio d'amore» ma la notte di nozze non ci furono né baci né carezze da parte del marito: il quale invece - deluso dall'inconsistenza della sua dote - versò in faccia alla sposina una buona dose di acido. Era il dicembre dell'anno scorso, il Natale alle porte, Adeste fideles e via scampanando...
Quello degli attacchi al vetriolo continua ad essere un fenomeno allarmante e costituisce una grave minaccia per la popolazione del Bangladesh, anche se gli esperti segnalano un declino nel numero degli incidenti: che secondo un dato non proprio recente avrebbero coinvolto, nel periodo tra il maggio del '99 e il dicembre 2010, 2.433 persone, in maggioranza donne e bambini.
Ma bastano cinque ore di macchina, da Dacca, in direzione Sud per sbarcare a Satkhira, città che ospita una fitta comunità di gente sconvolta dal vetriolo: dove incontri donne grottescamente sfigurate, alcune completamente cieche che tendono la mano, altre sorde, altre ancora totalmente svanite, creature di un pianeta alieno. Il cui più giovane fantasma si chiama Sonali, anni 10: aveva appena 18 mesi ed era a letto con papà e mamma quando un energumeno le spruzzò l'acido in faccia spegnendole in un colpo tutti e due gli occhi. Ma ancora più cupa è la storia di una signora trentenne, completamente accecata dal marito, che però alla fine torna da lui come una pecorella smarrita, non essendoci alternative, per continuare a vivere, che la fame e l'accattonaggio.
Le donne non hanno tuttavia voce in capitolo e tanto meno osano protestare, temendo altre misure punitive oltre quelle inflitte loro quotidianamente dalle istituzioni. Non deve quindi sorprendere se si arrabbiano quando qualcuno stupidamente insinua che a provocare l'intervento energico delle autorità sia stato il loro stesso comportamento, definito di volta in volta capriccioso, offensivo, se non addirittura indecente.
A chi obietta che si tratta di una vicenda datata, esplosa qualche tempo fa quando da Dacca filtrò la notizia di un gruppo di bambini ricoverati in ospedale con tremende ustioni sul corpo causate dall'acido solforico, rispondo che ha ragione. Ma devo aggiungere a malincuore che altri bambini sono ancora lì, adesso, in quegli stessi ospedali e sulle stesse rigide brandine in attesa della fine della sofferenza. Tra loro è adagiata una ragazza poco più che ventenne, indiana, vittima di un incidente sul lavoro: raccontano che il suo sari abbia preso fuoco e che in un attimo l'abbia avvolta in un sudario incandescente. Il volto è minuto e bianco mentre il petto ha il colore di una corteccia scorticata dal sole. Infermiere e medici danno per scontato che la poveretta non arriverà a domani.
Qualche giornale, riferendosi a Satkhira, l'ha definita «il museo delle sfigurate», ma appena ci metti piede ti rendi conto che la definizione è inadeguata: perché la città non è abitata da statue o mummie imbalsamate, ma da uno stuolo di ragazze cui i pretendenti del posto hanno spesso cambiato i connotati con l'acido. Faccende private in cui raramente interviene la legge. Indisturbati i proprietari delle grandi riserve di acido muriatico e il corollario di collaboratori grandi e piccoli che partecipano all'avventura.
Il dottor Samanta Lal Sen, primario del Dhaka Medical College and Hospital, ricorda che agli inizi della sua carriera nell'ospedale «c'erano solo cinque o sei letti» e che gli interventi su gente afflitta da gravi ustioni «venivano affrontati e superati con grande difficoltà nell'unica sala operatoria». Aggiunge anche d'aver fatto venire dall'Italia e dalla Spagna chirurghi altamente specializzati: «Ma che io sappia - conclude - nessuno è mai riuscito a restituire la fisionomia originale a una donna o a un uomo quando i loro volti avessero subito oltraggi e alterazioni davvero spaventosi oltre che indelebili».
Deve passare un po' di tempo prima che si attutisca o addirittura scompaia il senso di amarezza e sconforto che colpisce chiunque appena mette piede in questo luogo dove il presente come il passato sono spesso scritti con caratteri funerei. Ma si può anche respirare una boccata d'aria buona quando vedi al lavoro la laboriosa compagnia di Action Aid, da sempre impegnata sullo sconnesso terreno della povertà, della fame e dei problemi sociali in ogni parte del globo, soprattutto nei continenti - come Asia, Africa e America Latina - dove l'affanno del vivere quotidiano è più intenso che altrove.
«Siamo venuti qui - mi spiega Amiruzzaman, vecchio amico ed instancabile globetrotter fin nelle periferie più remote del Bangladesh, attualmente funzionario della grande organizzazione non governativa - per renderci conto, da vicino, delle condizioni delle donne in questo Paese, ritenute fra le più disperate del mondo. E credo tu abbia ragione quando dici che siamo di fronte all'immobilismo di un governo e di istituzioni che non hanno alcuna intenzione di ridimensionare il ruolo del maschio, che qui non ha una moglie ma ha una schiava, così come sono schiave le sue figlie e come lo saranno le sue nipoti e nipotine. Ha torto marcio chi ritiene che di fronte agli sproloqui di certi retori di periferia la situazione possa cambiare».
Non si può ignorare che siano stati apportati dei miglioramenti in un campo che è rimasto immobile per millenni: solo qualche anno fa sembrava impossibile che in queste remote regioni asiatiche una donna potesse accedere all'università o che il suo salario si equiparasse a quello del consorte fino all'ultimo centesimo e che spartisse con lui il potere decisionale. Non deve quindi sorprendere - annotano gli arguti maestri della filosofia spiccia - se la donna, non potendo avere né un lavoro né un impiego che le procurassero un sia pur minimo guadagno, abbia messo in commercio la sola cosa di cui disponeva: il proprio corpo.
Professione da allora altamente onorata dalle sex workers di Faridpur e Daulatdia e dalle cowgirl dell'isola di Bani Shanta che si tengono in forma con la pillola della mucca. Il tutto consumato in un grande amplesso umano-animale-rurale che dovrebbe assicurare la pace nel mondo.
Ettore Mo26 agosto 2012 | 9:34
 

venerdì 10 agosto 2012

Non ho parole...

Vorrei poter scrivere, ma non ho parole.
Capita che le idee ci siano, le notizie siano arrivate, ma è come se scivolassero via…
Vorrei poter scrivere  dello spread ondivago, oggi su domani giù, dopodomani chissà.
Vorrei poter scrivere delle parole di Draghi, che trainano l'economia, come le favolette raccontate prima di addormentarsi…ma già la seconda volta non gli crede più nessuno.
Vorrei poter parlare delle Olimpiadi, della regina Elisabetta che fa la Bond Girl, della Pellegrini che fa il fantasma di se stessa, di tutto il nuoto che fa acqua, delle donne del fioretto che mettono i brividi, degli uomini che le seguono a ruota, e gli sciabolatori che non deludono, e le carabine che sparano medaglie, di Bolt che è stato talmente veloce, ma talmente veloce che... chi l'ha visto?!
Vorrei poter scrivere del doping e della delusione per Alex Schwazer. Poi ho visto la sua intervista, le sue lacrime, la sua sconfitta ed ho deciso che anche i grandi errori meritano rispetto, quando saranno seguiti dai giusti provvedimenti. E allora si può anche tacere.
Vorrei poter scrivere di Vendola, che si mette con Bersani, che vorrebbe stare con Casini, che lascia Di Pietro, che fa l’occhiolino a Grillo.
Vorrei poter scrivere di Annibale, di Scipione, di Caronte, di Minosse, di Ulisse, di Nerone. Ma sapete cosa? Io dico che è normale che in estate faccia caldo. Così caldo? A volte capita.
Già, avrei potuto scrivere  un sacco di cose, ma non l'ho fatto perché sono delusa, rassegnata … arrabbiata!!!
Buon Ferragosto a tutti!

 Restiamo umani.

sabato 4 agosto 2012

Fine pena: mai..

… è questa la frase che ho detto a mio marito stamattina, quando ci siamo scambiati gli auguri per il nostro 38.mo anniversario di matrimonio (+ 4 di fidanzamento)… manco Totò Riina sconterà una pena così lunga!
Scherzo, naturalmente e, se tornassi indietro, rifarei la stessa scelta. Sì, perché partendo dal presupposto che gli uomini sono tutti uguali, io mi ritengo fortunata per aver incontrato la persona con la quale ho condiviso un progetto di vita che ci ha visti sempre insieme, vicini, complici, anche nei momenti più difficili che la vita in due ci ha posto dinanzi. Alla base di quest’intesa c’è la convinzione che la famiglia se la crei devi  sostenerla, devi crederci come valore assoluto e, perciò, tra alti e bassi, eccoci ancora qui oggi, ad affrontare il momento forse più difficile di questi 38 anni… ma supereremo  anche questo …
La cosa di cui gli sono più grata è la sensibilità e il rispetto che ha nei miei confronti: non mi ha mai soffocato con la sua presenza, non mi ha mai esibita come un cagnolino di razza, non mi ha mai portato a spasso avvinghiata sotto l’ascella, non ha mai usato smancerie (post it lasciati ovunque o squilli continui col cellulare) perché, come dice lui “quello che conta sono i fatti”, rendendomi, così, più forte e sicura:  alle mie ansie,  alle mie paure, alle mie malinconie fa eco la sua saggezza, per la quale la famiglia è come  una quercia secolare, che  nasce come una pianta giovane e indifesa e che va seguita e protetta per farla germogliare, crescere e fiorire.
Siamo diventati nonni da poco ed è stata una gioia immensa: mi auguro che così come è stato per i figli, anche il nostro Cucciolo possa respirare, vivere e gioire in una famiglia in cui l’amore si misuri col rispetto e la libertà di scelta.

Auguri a Noi!!!