domenica 20 febbraio 2011

...e il risorgimento si tinse di rosa


Ci voleva anche un po' di coraggio, in questo febbraio 2011, per esortarci all'allegro orgoglio di appartenere al luogo in cui viviamo al popolo da cui veniamo; per dirci che occorre volere bene al Paese in cui siamo nati. Benigni ha avuto questo coraggio, in tempi in cui da tv e giornali ci si rovesciano addosso ogni giorno cronache di miserie e insulti. In fondo Benigni ci ha ricordato ciò che spesso avvertiamo senza dircelo: la coscienza della cultura e della ricchezza e della bellezza di questo Paese, di ciò che ha dato, di ciò che é. Ha preso voce sul palco dell'Ariston quell'inno d'Italia a cappella intonato da Benigni: è sembrata una preghiera. Una sommessa preghiera per l'Italia. E davanti allo schermo si è rimasti zitti. Come si rimarrebbe zitti se invece di nominare sempre e solo i soliti Garibaldi, Cavour, Mazzini, Bixio, si nominassero le donne che hanno fatto l’Unità d’Italia. Sono tante! L’ho scoperto nella preparazione di un video per un concorso cui ha partecipato una classe, non mia peraltro, in cui si chiedeva di parlare, appunto, delle figure femminili del Risorgimento. Ho dovuto perciò ricercare, approfondire, rielaborare e nel farlo ho capito che è una storia scritta con l’inchiostro invisibile quella delle donne e dell’Unità d’Italia. Una trama fitta e sottile di presenze operose, generose, importanti anche se taciute, come spesso accade all’agire femminile. Le donne sono presenti attivamente nel processo risorgimentale e vi contribuiscono con atteggiamenti diversi, coraggiosi e innovativi, con scelte di libertà. Ma se le donne ci sono e fanno, una perpetrata omertà della storia e degli storici, non rende loro giustizia. C’è una ricca produzione biografica in merito e, grazie ad essa, si delineano figure di eroine, di patriote, filantrope ed artiste, che irrompono nella storia con una carica trasgressiva rispetto al modello tradizionale imposto dalla cultura del tempo. Ma della documentazione di questo loro agire, negli archivi e nei luoghi preposti, non c’è traccia, si fa fatica a trovare i fascicoli riguardanti le donne, come taciute sono le donne ferite, lapidate e morte di cui non c’è traccia nelle fonti che si riferiscono infatti solo agli ospedali maschili. Esempi questi di un processo di rimozione che crea vuoti e silenzi nella storia del contributo femminile al Risorgimento. Per trovare memoria delle donne, anche di quelle che hanno fatto la storia, occorre cercare nella sfera delle testimonianze familiari, le lapidi, gli elogi funebri, le lettere, i diari. E proprio queste sono state le fonti della mia ricerca: confortata da Internet, ho dovuto mettere insieme pezzi di vita stralciati da vari documenti, assemblarli, ricomporli, proprio come un puzzle. Ma quale era la condizione della donna al tempo in cui si costruiva l’Unità? Vigeva una potestà paterna e maritale che relegava la donna ad un ruolo subalterno, nel chiuso delle pareti domestiche, assoggettata al marito, priva di ogni diritto giuridico ed economico. I principi di uguaglianza e libertà della Rivoluzione francese sono acqua passata ormai e la donna italiana per i successivi cinquanta anni rimarrà silenziosa vestale della famiglia ideale del nuovo stato borghese. Esclusa dai pubblici uffici, ma anche dal diritto a esercitare la tutela sui figli, la donna era sottoposta a disparità di pena anche di fronte all’adulterio: rispetto al marito che era punito solo in caso di concubinato, mentre il codice penale riservava alla donna da tre mesi a due anni di reclusione. Solo Mazzini ha posizioni più aperte e rispettose dell’importanza del ruolo della donna nella società, anche se ammette l’immaturità dei tempi perché cambi qualcosa e la donna partecipi alla vita politica del Paese: È proprio del 1861 la pubblicazione del libro “La donna e la scienza o la soluzione del problema sociale”, di quel Salvatore Morelli che primo in Italia sollevò il problema femminile, battendosi durante tre legislature per i diritti delle donne, compreso quello di voto. Ma le sue richieste cadono nel vuoto e di tante proposte di legge passerà solo quella che riconoscerà alle donne il diritto di essere testimone negli atti previsti dal Codice Civile. L’emancipazione della donna passa per l’esperienza dell’associazionismo che diffonde la pratica del dibattito e della democrazia. In questo senso il salotto ( non inteso come quelli attuali di quelle nobildone cialtrone e politicamente scorrette che vorrebbero disunire l’Italia) è il primo strumento di apertura alla partecipazione e all’impegno intellettuale e civile della donna. Parliamo di personaggi dell’aristocrazia e dell’alta borghesia, il cui livello culturale e l’internazionalità della formazione consentivano di produrre opinioni e confrontarle diffondendo la passione per l’impegno sociale e civile. Nobildonne che aprivano i loro salotti a letterati, patrioti e artisti contribuendo in modo sostanziale alla diffusione dei fervori unitari e risorgimentali. Spesso simpatizzanti delle idee mazziniane, vicine alla carboneria, hanno meno combattuto sulle barricate a colpi di moschetto e più lavorato per la costruzione del paese civile. Filantrope più che patriote hanno fondato ospedali, organizzazioni per l’assistenza alle minorenni, hanno aperto asili e scuole per affrancare le donne da quella indigenza di cultura che si traduceva in mancanza di libertà. Naturalmente anche in questo c’è una netta differenza tra le donne del Nord e quelle del Sud d’Italia. Infatti, mentre le prime potevano avvalersi di titoli nobiliari e, perciò, di una maggiore disponibilità economica che consentiva loro di aprire i salotti; le seconde hanno dovuto far leva sul loro carattere passoniale e scendere in campo, per ottenere libertà dsllo straniero e dignità civile. E’ il caso di Serafina Apicella,sposa di Antonio Gallotti, Serafina venne coinvolta nel moto insurrezionale del Cilento perché il marito era uno dei maggiori organizzatori della rivolta scoppiata il 28 giugno 1828. Fallita la ribellione, durante le feroci stragi ordinate da Del Carretto, la donna venne presa, legata ad una fune e calata in un pozzo; vi fu immersa fino alla bocca, quindi le fu fatto colare sulle braccia la pece di torce accese. Tratta dal pozzo e frustata venne poi sottoposta a giudizio e condannata a 25 anni di prigione. In campo artistico, l’“emancipata Bianca”, come la chiamò Carlo Cattaneo, quella Bianca Milesi che Manzoni definì “madre della patria”, mostrava di cosa fossero capaci le donne. Legata al gruppo di pensatori patrioti, era vicina ai Pellico ai Confalonieri ai Maroncelli ai Berchet. Lei pittrice, allieva di Francesco Hayez, sarà la ritrattista di molti tra i protagonisti del Risorgimento. Avvicinatasi alle idee di Mazzini, Bianca organizza l’accoglienza degli esuli lombardi a Genova, con Confalonieri lavora alla creazione di scuole di mutuo insegnamento per promuovere una unità culturale su cui fondare l’idea di patria. Finirà i suoi giorni esule in Francia. Le sottili trame del femminile legano fatti e persone e spesso i destini di queste donne si incrociano o si sfiorano. Alcune entrano nei libri di scuola, come Anita Garibaldi, Giulia Beccaria, compagne di eroi, o astute strateghe dell’intrigo e della politica come la Contessa di Castiglione. Altre contribuiscono con i loro sforzi e le loro idee ad un’azione collettiva e diffusa in cui è difficile far emergere singole individualità. Sono prime forme di associazionismo intorno a veri e propri progetti politici, sono comitati di filantrope dedite ad un progetto sociale, sono gruppi di giornaliste e intellettuali riunite intorno ad un periodico, comitati clandestini di patriote e congreghe dal carattere religioso. Sempre nel Sud, a Napoli il giornale politico “Un Comitato di Donne”, promuove la creazione di un battaglione femminile. Sempre a Napoli nel 1857 nasce il “Comitato politico mazziniano femminile” per stabilire i contatti tra i prigionieri politici nelle carceri borboniche e il comitato mazziniano genovese. Se ne occupa quella Antonietta De Pace che aveva già creato importanti collegamenti tra patrioti di Puglia e Campania, aveva preso parte ai moti del ’48, finendo in carcere e nel 1860, sarebbe entrata trionfante a Napoli a fianco di Garibaldi. Lei come altre, dopo le barricate si dedicò alla formazione dei giovani e alla diffusione dell’istruzione tra le donne. Spesso queste storie si colorano di episodi avventurosi e rocamboleschi, e le nostre non sempre famose eroine si destreggiano vestendo il più delle volte panni maschili, nascondendosi sotto travestimenti e false identità. È il caso di Cristina Trivulzi di Belgioioso, nobile, ricca, coltissima, capace di riprendersi la propria vita dopo il fallimento del suo matrimonio, finanzia le azioni carbonare, organizza vari ospedali a Roma e dopo l’esilio francese, una volta fatta l’Unità , si impegna nella fondazione di asili. Molte sono infermiere, altre combattenti. Tutte compagne e madri capaci di infondere i principi della rivoluzione per l’indipendenza e l’unità del Paese. Sono ancora due donne, Jessie White Mario, corrispondente del Daily News e Margaret Fuller inviata del New York Tribune, a diffondere gli echi della nostra storia risorgimentale nel mondo, attraverso i loro articoli. Vicine ai patrioti, Jessie White partecipa alla spedizione dei Mille, firma la biografia di Garibaldi e quella di Mazzini, la Fuller racconta dalle barricate le giornate di fuoco della Repubblica romana assediata dalle truppe francesi. Se gli uomini del Risorgimento sono i protagonisti dell’Unità politica del Paese, le donne, nell’ombra, operano alla creazione dell’unità sociale e culturale della nuova e giovane Italia. Nel fare questo, avviano la prima riflessione sulla condizione femminile e con il contributo dei primi giornali femministi, cominciano ad elaborare l’identità della donna dell’Italia unita.
A 150 anni siamo ancora in cammino.