Pubblico questa storia ( bella ? commovente? patetica?) anonima che sta spopolando il web e già eletta come "caso letterario dell'anno".
Ma chi l'ha scritta? È una storia vera? O magari è tutta opera di uno scrittore che si è voluto divertire un po'? Forse non lo sapremo mai... e forse è meglio così.
Ti ho vista sul treno della linea
Q di Brooklyn diretto a Manhattan. Io indossavo una maglietta a righe blu e un
paio di pantaloni marrone rossiccio. Tu indossavi una gonna vintage rossa e
un'elegante camicetta bianca. Entrambi portavamo gli occhiali. Immagino che li
portiamo ancora adesso.
Tu sei salita a DeKalb, ti sei seduta di fronte a me e ci siamo guardati negli
occhi, per poco tempo. Mi sono innamorato un po' di te, in quel modo stupido di
quando immagini una persona diversa da quella che stai guardando. E ti innamori
di lei. Tuttavia, credo ancora che in fondo ci fosse davvero qualcosa.
Ci siamo guardati parecchie volte. Poi abbiamo distolto entrambi lo sguardo. Ho
provato a immaginare qualcosa da dirti - forse fare finta di non
sapere dove eravamo diretti e chiederti indicazioni, oppure dire qualcosa di
carino sui tuoi orecchini a forma di stivale, o semplicemente "che caldo!".
Ma mi sembrava così banale.
A un certo punto ti ho sorpreso mentre mi osservavi. E tu hai distolto
immediatamente lo sguardo. Hai tirato fuori un libro dalla borsa e hai iniziato
a leggerlo - una biografia di Lyndon Johnson - , ma mi sono
accorto che non hai girato pagina neppure una volta.
Dovevo scendere a Union Square, ma a Union Square ho deciso di restare a bordo.
Ho pensato che avrei potuto prendere la Linea 7 scendendo alla 42esima Strada,
ma poi non sono sceso neppure alla 42esima. Anche tu devi aver saltato la tua
fermata, perché siamo finiti entrambi al capolinea di Ditmars. Qui siamo
rimasti seduti, tutti e due, in attesa.
Ho inclinato la testa verso di te con curiosità. Tu ti sei stretta nelle spalle
e hai tenuto in mano il libro, come se il motivo fosse quello. Ma non ho detto
niente. Abbiamo ricominciato il tragitto all'incontrario - giù
lungo Astoria, attraverso l'East River, spostandoci attraverso Midtown, da
Times Square a Herald Square a Union Square, passando sotto SoHo e Chinatown,
transitando sul ponte e tornando a Brooklyn, superando Barclays e Prospect
Park, e ancora Flatbush e Midwood e Sheepshead Bay, fino in fondo a Coney
Island. E arrivati a Coney Island, sapevo che dovevo dire qualcosa.
Ma non ho detto niente. Così siamo ripartiti di nuovo. Abbiamo fatto su e giù
lungo la linea Q, tante tante volte. C'era folla nell'ora di punta, poi non
più. Abbiamo visto il sole tramontare su Manhattan mentre attraversavamo l'East
River. Mi sono dato delle scadenze: adesso le parlo prima di arrivare a
Newkirk; anzi, no, prima di Canal. Invece sono rimasto zitto.
Per mesi siamo rimasti seduti nel vagone, senza dirci niente. Siamo
sopravvissuti grazie a sacchetti di caramelle Skittles venduteci da alcuni
ragazzini per finanziare le loro squadre di basket. Forse in treno abbiamo
ascoltato un milione di musicisti di mariachi, e per poco non siamo stati presi
a calci in faccia da centinaia di migliaia di ballerini di break dance. Ho
fatto l'elemosina fino a restare senza banconote da un dollaro. Quando il treno
risaliva in superficie ricevevo sms e messaggi vocali ("Dove sei? Che cosa
ti è successo? Stai bene?"), fino a quando la batteria del mio cellulare
si è spenta.
Le parlerò prima dell'alba. Le parlerò prima di martedì. Più aspettavo, più
diventava difficile. Che cosa avrei mai potuto dirti a quel punto, mentre
superavamo quella stazione per la centesima volta? Forse, se fossimo ritornati
alla prima volta in cui la linea Q aveva cambiato tragitto sulla linea locale R
del weekend, avrei potuto dire: "Così non va bene ". Ma ormai non
potevo più dirlo, vero? Mi prenderei a calci da solo per giorni interi se penso
a quante volte hai starnutito: perché non ti ho detto: "Salute!"?
Quella semplice parolina sarebbe stata sufficiente a farci immergere in una
conversazione. E invece siamo rimasti seduti in quell'insulso silenzio.
Ci sono state serate in cui eravamo le uniche due anime a bordo di quella
carrozza, forse di tutto il treno, e anche in quel caso mi sono imbarazzato
all'idea di disturbarti. Sta leggendo il suo libro, pensavo, non vuole comunicare con me. Tuttavia, ci sono stati momenti in cui ho avvertito un
legame. È capitato che qualcuno gridasse qualcosa di folle su Gesù e noi ci
siamo subito guardati, come per registrare le reazioni dell'altro. Una coppia
di adolescenti è scesa, tenendosi per mano, ed entrambi probabilmente abbiamo
pensato: L'Amore dei Giovani.
Per sessant'anni siamo rimasti seduti su quella carrozza, fingendo a malapena
di non notarci a vicenda. Alla fine ti ho conosciuta così bene, seppur
superficialmente. Ho memorizzato le pieghe del tuo corpo, i contorni del tuo
volto, il tuo respiro. Una volta ti ho visto piangere, dopo aver dato
un'occhiata al giornale di un vicino. Mi sono chiesto se tu stessi piangendo
per qualcosa di specifico o soltanto per il passare del tempo in genere,
impercettibile e all'improvviso percettibile. Volevo darti conforto, avvolgerti
nelle mie braccia, rassicurarti, dirti che sarebbe andato tutto bene, ma mi
sembrava troppo sfacciato. E così sono rimasto incollato al mio posto.
Un giorno, a metà pomeriggio, ti sei alzata mentre il treno entrava nella
stazione di Queensboro Plaza. Il solo alzarti in piedi ti è risultato
difficile. Non lo facevi da sessant'anni.
Reggendoti ai corrimano, sei riuscita ad arrivare fino alla porta. Hai esitato
un po', forse aspettando che io ti dicessi qualcosa, dandomi un'ultima
possibilità di fermarti. Ma, invece di liberare le mie pseudo-conversazioni
soffocate per una vita intera, sono rimasto in silenzio. E ti ho visto scivolare
via tra le porte scorrevoli.
Solo dopo alcune fermate mi sono reso conto che te ne eri andata davvero. Ho
aspettato che tu risalissi in metro, per sederti accanto a me e appoggiare la
testa sulla mia spalla. Senza dire nulla. Non era necessario.
Quando il treno è tornato a Queensboro Plaza, mi sono sporto. Forse eri lì, in
banchina, ancora in attesa.
Forse ti avrei visto, sorridente e radiosa, con i lunghi capelli grigi agitati dal vento del treno in
arrivo.
Invece no. Eri andata via. E allora ho capito che molto probabilmente non ti
avrei più rivista. E ho pensato a quanto è incredibile poter conoscere qualcuno
per sessant'anni e malgrado ciò non conoscere per niente quella persona.
Sono rimasto a bordo finché non sono arrivato a Union Square. Sono sceso e ho
preso la linea L.
Traduzione di Anna Bissanti
15 agosto 2013)