venerdì 17 luglio 2009

Alessandro e la sua missione di pace.


Tanti anni fa, i giovani che sceglievano di arruolarsi nelle forze armate, la maggior parte meridionali, venivano apostrofati con il termine “carne da macello”, perché la loro scelta era dettata dalla fame, dalla necessità di trovare un “posto sicuro” , ma non era confortata dalla preparazione, dalla tecnologia, da capacità e mentalità strategiche, indispensabili per affrontare una scelta così impegnativa. Si arruolavano e basta, con semplicità, senza nemmeno credere in quella loro scelta. Quanti di loro sono morti per inesperienza, paura, incapacità di prendere una decisione che avrebbe potuto salvargli la vita? oppure: quanti di loro hanno ucciso altre persone per gli stessi motivi di cui sopra?
Oggi, a distanza di anni, i giovani che si arruolano sono tutti volontari, scelgono la vita militare , sapendo i rischi che corrono, ma, di contro a quelli del passato, sono confortati da una preparazione eccellente, impiegano mezzi e strumenti altamente sofisticati, hanno capacità strategiche e decisionali che li portano lontano dalle loro case, dagli affetti, dalle città e dai paesi dove hanno trascorso la loro infanzia e giovinezza. Iraq, Afghanistan, Balcani…vanno fiduciosi, convinti di portare la pace in quei paesi martoriati dalle guerre, dalla fame, dalla miseria più nera…
Ma Alessandro di Lisio, ragazzo molisano “carne da cannone meridionale” (nuovo termine, adeguato, giustamente, ai tempi cambiati) non ce l’ha fatta: è caduto nella guerra coloniale in Afghanistan per sostenere l’economia del Nord. Eppure lui credeva in ciò che faceva: era davvero convinto di essere in “missione di pace”
«La guerra è uno sporco lavoro, ma qualcuno dovrà pur farla»
sono le sue ultime parole scritte su facebook la sera prima di morire: evidentemente, Alessandro aveva capito, dopo solo tre mesi di permanenza in Afghanistan, che la sua non era una missione di pace, ma di guerra!!!
Perchè in guerra le “missioni di pace” non esistono e non sono mai esistite.
In Afghanistan c’è una guerra in corso, iniziata all’indomani dell’11 Settembre, e subito rivelatasi un errore, sia che si volesse credere alla favola dell’importazione della “democrazia”, sia che si volesse tentare di mettere le mani sulla regione per ragioni economiche o strategiche.
E la guerra è guerra, è crudele, e, magari, sarebbe il caso, per rispetto della dignità umana, smettere di considerare la morte di cinquanta talebani una “brillante operazione militare” e un militare in "missione di pace" ucciso un “martire vittima di un vile agguato”.
Sono tutti esseri umani, sono persone che credono, combattendo, di conquistare la pace, la libertà e/o il dominio su un territorio.
Chi sceglie la carriera militare compie una scelta consapevole, una scelta che non ha niente a che fare con la pace, una scelta di guerra. E la guerra, da sempre, è fatta di morti, di lutti, di sangue.
Tutto questo Alessandro forse non lo sapeva, convinto, forse dai racconti dei nonni, che la Repubblica Italiana è nata da una guerra. La guerra di Liberazione
Forse Alessandro credeva in un esercito al servizio dei popoli, come era l’esercito partigiano.
Ma non è stato così: Alessandro ha dovuto fare i conti con un esercito che spende decine di milioni di euro per comprare mezzi ultrasicuri che comunque hanno fatto saltare in aria la sua vita e i suoi sogni di 25enne innamorato della pace; o per cacciabombardieri che servano a bombardare il popolo afghano, non con un esercito al servizio dei popoli e che chiamano “le forze di pace”..
Alessandro nella sua missione in Afghanistan ha combattuto una guerra che non è la nostra guerra, ha ascoltato e creduto alle favole sulla democrazia, sulla civiltà, sulle missioni di pace… Ma la storia ci ha insegnato (e Alessandro era ancora troppo giovane per capirlo), che quando i popoli vengono sottomessi e sfruttati scelgono di ribellarsi, e sono pronti a qualunque cosa per conquistare la propria libertà.
Quella che Alessandro ha combattuto e che stanno combattendo i nostri militari in Afghanistan, in Iraq, nei Balcani… è la guerra dell’imperialismo, del neocolonialismo, dell’economia globalizzata dei paesi del G8 e della loro “cultura”. La guerra per la libertà, per la democrazia, per i diritti, per l’uguaglianza può combatterla solo il popolo afghano, iraqueno, balcanico…
Ora Alessandro non c’è più: i riflettori si sono spenti, fiumi di magniloquenti parole sono stati versati da questo e da quel ministro, la sua città ha perso un figlio, mentre io, davanti alla sua bara nella camera ardente, ho sentito forte il desiderio di non buttare nel dimenticatoio questa storia, e mi sono chiesta se forse si poteva evitare di mandare a morire un nostro ragazzo di appena 25 anni nel nome di un’ipocrita civiltà fatta di veline e coca cola, che niente ha a che vedere con i bisogni del popolo afghano.
Forse, mi sono detta, sarebbe meglio per tutti avere dei militari che difendano il popolo italiano, i valori della Costituzione e la pace al posto di essere spediti in giro per il mondo “per ammazzar la gente più o meno come loro” e “per andare a morire per non importa chi”.
Come dicevano i greci, in tempi di pace i figli seppelliscono i padri, ma solo in guerra sono i padri a seppellire i figli.
Ciao, Alessandro.