giovedì 1 aprile 2010

Testamento di un albero






Giorni fa sfogliavo uno dei miei quaderni delle scuole elementari, che custodisco ancora gelosamente, perché cercavo una poesia sull’albero: il mio ricordo era fisso su quel quaderno con la copertina rossa e ricordavo anche il disegno che avevo realizzato per strappare un voto più alto alla maestra (tenera la mia maestra). L’urgenza di trovare quella poesia di Trilussa, che ricordavo ancora a memoria, era dettata dal fatto che insieme ad una classe dobbiamo partecipare ad un concorso, che richiede ai ragazzi di diventare giornalisti e realizzare un’inchiesta su un problema ambientale legato al territorio in cui vivono. Dopo aver selezionato i tanti problemi del territorio regionale, la scelta è ricaduta su un problema della città in cui vivono: la morte di alcuni alberi secolari, che erano il vanto e l’orgoglio della loro città, una volta conosciuta come “città giardino”.
Ho accolto la loro proposta con molta gioia perché, delle tante cose meravigliose che la natura mi ha donato, gli alberi sono quelle che amo di più: mi piace la loro altezza, la loro chioma, mi piacciono quando si stagliano su un cielo azzurro, quando sono carichi di neve; quando si spogliano e restano là, tutti nudi a prendersi quei simpatici venticelli gelidi che noi uomini evitiamo con felpe, piumoni e piumini; o quando si riempiono di germogli a primavera che paiono vogliano risvegliarti l’anima; anche in autunno, quando assumono quel colore caldo che sa di casa.
Lavorando con i ragazzi, ho dovuto, però constatare che quasi tutti non conoscono nomi e caratteristiche degli alberi, non sanno distinguerli. Qualcuno sicuramente ora penserà: e certo, perché la scuola di oggi, è solo occupata a piazzare una indispensabile LIM in ogni aula…
No, non è così: anche nella scuola dove andavo io comunque, nessuno mi insegnò mai a distinguere un abete da un pino, solo che noi ragazzi di allora vivevamo più a contatto con la natura, giocavamo e crescevamo in mezzo agli alberi, avevamo la virtù di osservare e fare confronti: «I pini hanno gli aghi lunghi, gli abeti li hanno corti!» e poi, sempre più incuriositi, si chiedeva agli adulti, oppure erano i nonni, i genitori che ti indicavano:-vedi, quello è un leccio, mentre questa è una quercia- ecco, tutto questo i ragazzi di oggi non lo fanno e non sanno quanto sia bello e importante.
Una cosa che mi sconcerta abbastanza, con tutto questo dibattito in giro sui nativi digitali e amenità del genere, e sulla necessità di adeguare la scuola alla tecnologia, è che pochissimi sembrano vedere il problema di intere generazioni che crescono senza la percezione dell'ambiente naturale in cui vivono, letteralmente - è il caso di dirlo - senza radici!
Me ne sono accorta, proprio durante le ore di laboratorio per realizzare l’inchiesta del concorso: aiutati a conoscere questi esseri viventi silenziosi che abitano e spesso soffrono intorno a noi, per loro è stata una scoperta, una gioia sapere il nome e le caratteristiche degli alberi…e l’indomani tornano a dirmi: ieri sera siamo stati in via TaldeiTali e abbiamo visto da vicino la sequoia… è crescere dentro, insieme, e per loro camminare per la città diventa diverso, più interessante, perché per le strade e nei giardini gli alberi raccontano le loro storie. Un'occasione per crescere più curiosi e consapevoli del mondo e meno annoiati, probabilmente meglio della Playstation e della PayTV!
Ah, se un albero potesse parlare a questi ragazzi!, quante ne avrebbe da dire!
Gli racconterebbe del viaggio che ha fatto quando era un seme trasportato dal vento; di quando due innamorati hanno inciso sul suo tronco i loro nomi circondati da un cuore procurandogli un dolore atroce; comincerebbe a sparare a zero su tutti noi che con le macchine mettiamo nell'aria della roba per lui irrespirabile…
e lascerebbe loro questo testamento


Un Albero di un bosco
chiamò gli uccelli e fece testamento:
- Lascio i fiori al mare,
lascio le foglie al vento,
i frutti al sole e poi
tutti i semi a voi.
A voi, poveri uccelli,
perché mi cantavate le canzoni
nella bella stagione.
E voglio che gli sterpi,
quando saranno secchi,
facciano il fuoco per i poverelli.

(Testamento di un albero – TRILUSSA)