Il linguaggio, soprattutto il linguaggio
politico, non fotografa la realtà, ma la interpreta, la modifica e
la crea. Qualunque politico è ciò che dice e come lo dice e il suo modo di parlare fa la sua fortuna ( leggi Obama).
In Italia, nell’ultimo ventennio,
il discorso dal palco è stato soprattutto e sopra tutti l’affabulare
berlusconiano: col suo linguaggio esagerato, smaccato, iperbolico, retorico,
infarcito di bugie e false promesse, il Cav. disarcionato ha creato un’Italia che non
c’era, quella del famoso milione di posti di lavoro, del presidente operaio,
del patto con gli italiani, del Ponte sullo Stretto.
Nessuno a sinistra in questi due decenni
è stato capace di creare uno stile alternativo.
Ora è arrivato Matteo Renzi. E che sia
una rivoluzione in termini comunicativi s’era già capito negli ultimi mesi, ma
sono il discorso dopo la vittoria delle primarie Pd e la conferenza stampa con
cui ha annunciato i componenti della nuova segreteria a marcare la differenza
con la sinistra del passato, quella che gli ha consegnato le armi fino alla
resa finale. Ora, padrone del campo, Matteo è Renzi all’ennesima potenza.
Ma come parla Renzi? Parla per luoghi
comuni,. dice cose come “l’importante non è cadere, ma sapersi rialzare”, che
non sfigurerebbero nel diario di un liceale. Dice “Ora guido il partito più
grande del Paese più bello del mondo” ... ma attenti a Matteo Renzi, quello che tutti si sono chiesti “Ma ci è o
ci fa?”, perché sa esattamente dove vuole arrivare quando parla così (stile Panariello).
Quando, nel discorso di ringraziamento
ai suoi sostenitori dopo la vittoria alle primarie, usa metafore calcistiche
che manco un mister delle serie minori, tipo “Io sono tenace e determinato, se
mi avete dato la fascia di capitano di questa squadra, non farò passare giorno
senza lottare su ogni pallone” e ancora: “Questa non e’ la fine della sinistra
e’ la fine di un gruppo dirigente della sinistra.. Stiamo cambiando giocatori,
non stiamo cambiando campo”. E poi, dopo aver detto “mezza giornata di riposo,
poi si torna al lavoro” Matteo annuncia che è pronto per fare la squadra… e poi
snocciola una squadra-segreteria di trenta quarantenni in cui per la prima
volta, come sottolinea, ci sono “più donne che uomini”. E’ popolare?
Certo. E’ populista? Il confine è sottile, ma non è questo il punto. Il punto è
che con questo linguaggio, e probabilmente con nessun altro linguaggio in
un’Italia modificata da vent’anni di berlusconismo, Renzi ha già creato il
cambiamento: il linguaggio si è fatto azione. Domenica sera, con quello stile
un po’ da bar, ha mandato a dire al sindacato che è ora di finirla… alla vecchia
classe dirigente, lo stesso … a chi lavora nella scuola, che non è sbagliato
differenziare i professori in base al merito..a chi gestisce il nostro
patrimonio, che l’impostazione dei Beni Culturali non funziona.
Come farà la rivoluzione, se la farà, lo
vedremo. Ma abbiamo capito che il bimbaccio - rottamatore la battaglia la
combatte così, che le botte le rifila sorridendo, con Jovanotti in sottofondo.
Ah, tra le altre cose ha detto che
vincere non è di destra. E’ vincere e basta. Non dimentichiamolo, quando sarà
tempo di campagna elettorale.
PS: preciso che se fossi andata a votare,
avrei dato la mia preferenza a Civati.
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