martedì 10 dicembre 2013

Parole, parole, parole...

Il linguaggio, soprattutto il linguaggio politico, non fotografa la realtà, ma la interpreta, la modifica e la crea. Qualunque politico è ciò che dice e come lo dice e il suo modo di  parlare fa la sua fortuna ( leggi Obama).
In Italia, nell’ultimo ventennio, il discorso dal palco è stato soprattutto e sopra tutti l’affabulare berlusconiano: col suo linguaggio esagerato, smaccato, iperbolico, retorico, infarcito di bugie e false promesse, il  Cav. disarcionato ha creato un’Italia che non c’era, quella del famoso milione di posti di lavoro, del presidente operaio, del patto con gli italiani, del Ponte sullo Stretto.
Nessuno a sinistra in questi due decenni è stato capace di creare uno stile alternativo.
Ora è arrivato Matteo Renzi. E che sia una rivoluzione in termini comunicativi s’era già capito negli ultimi mesi, ma sono il discorso dopo la vittoria delle primarie Pd e la conferenza stampa con cui ha annunciato i componenti della nuova segreteria a marcare la differenza con la sinistra del passato, quella che gli ha consegnato le armi fino alla resa finale. Ora, padrone del campo, Matteo è Renzi all’ennesima potenza.
Ma come parla Renzi? Parla per luoghi comuni,. dice cose come “l’importante non è cadere, ma sapersi rialzare”, che non sfigurerebbero nel diario di un liceale. Dice “Ora guido il partito più grande del Paese più bello del mondo” ... ma attenti a Matteo Renzi, quello che tutti si sono chiesti “Ma ci è o ci fa?”, perché sa esattamente dove vuole arrivare quando parla così (stile Panariello).
Quando, nel discorso di ringraziamento ai suoi sostenitori dopo la vittoria alle primarie, usa metafore calcistiche che manco un mister delle serie minori, tipo “Io sono tenace e determinato, se mi avete dato la fascia di capitano di questa squadra, non farò passare giorno senza lottare su ogni pallone” e ancora: “Questa non e’ la fine della sinistra e’ la fine di un gruppo dirigente della sinistra.. Stiamo cambiando giocatori, non stiamo cambiando campo”. E poi, dopo aver detto “mezza giornata di riposo, poi si torna al lavoro” Matteo annuncia che è pronto per fare la squadra… e poi snocciola una squadra-segreteria di trenta quarantenni in cui per la prima volta, come sottolinea,  ci sono “più donne che uomini”. E’ popolare? Certo. E’ populista? Il confine è sottile, ma non è questo il punto. Il punto è che con questo linguaggio, e probabilmente con nessun altro linguaggio in un’Italia modificata da vent’anni di berlusconismo, Renzi ha già creato il cambiamento: il linguaggio si è fatto azione. Domenica sera, con quello stile un po’ da bar, ha mandato a dire al sindacato che è ora di finirla… alla vecchia classe dirigente, lo stesso … a chi lavora nella scuola, che non è sbagliato differenziare i professori in base al merito..a chi gestisce il nostro patrimonio, che l’impostazione dei Beni Culturali non funziona.
Come farà la rivoluzione, se la farà, lo vedremo. Ma abbiamo capito che il bimbaccio - rottamatore la battaglia la combatte così, che le botte le rifila sorridendo, con Jovanotti in sottofondo.
Ah, tra le altre cose ha detto che vincere non è di destra. E’ vincere e basta. Non dimentichiamolo, quando sarà tempo di campagna elettorale.


PS: preciso che se fossi andata a votare, avrei dato la mia preferenza a Civati.

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