venerdì 3 febbraio 2012

Bamboccioni, sfigati e monotoni...

Da un po’ di tempo si blatera e si contestano alcune dichiarazioni rilasciate da uomini politici. Cominciando da circa cinque anni fa, quando un rispettabile uomo politico disse che i giovani di oggi sono tutti bamboccioni perché, ormai già grandi, vivono ancora in casa attaccati alla gonna di mammà.
La settimana scorsa è stata la volta di un altro esponente politico il quale ha dichiarato: "Dobbiamo dire ai nostri giovani che se a 28 anni non sei ancora laureato sei uno sfigato, se decidi di fare un istituto tecnico professionale sei bravo”
E’ la volta del nostro premier ora:  si é lasciato sfuggire, meno di 48 ore fa, delle affermazioni che molti hanno trovato quantomeno discutibili: “I giovani si abituino all’idea di non avere più il posto fisso a vita. Che monotonia. È bello cambiare e accettare le sfide”.
A queste dichiarazioni si è scatenato un putiferio di bla, bla, bla… stampa, politici, opinionisti dell’ultima ora si sono scagliati ora contro l’uno, ora contro l’altro, adducendo motivazioni sulla cattiva visione che hanno questi politici del mondo del lavoro, e bla,bla,bla…
Succede, purtroppo, sempre più spesso e soprattutto quando si vuole mettere su una polemica, che la stampa, i politici, gli opinionisti, decontestualizzino alcune frasi ad effetto, che assumono tutt’altro peso: in parole povere, di tutto un discorso elaborato da qualcuno, riescono a estrapolare solo quel concetto utile per creare uno scoop.
Primo caso: sicuramente le parole di quel ministro che definì bamboccioni i giovani non erano certo riferite a chi è inoccupato e disoccupato e, quindi, la casa di mammà rimane l’unico bene rifugio. Era rivolto senz’altro a quel numero elevato di giovani (parliamo di giovanotti dai 30 ai 40 anni, intendiamoci), che pur avendo un lavoro, una situazione economica stabile, continuano a vivere con i genitori, perché non vogliono prendersi la responsabilità che comporta vivere per conto proprio. Addirittura molti sono anche proprietari di casa, ma preferiscono affittarla, piuttosto che pagare le bollette, fare la spesa, pulirla o incaricare qualcuno di farlo, partecipare alle riunioni condominiali… e via bambocciando. Ne conosco tanti! E mi chiedo: dov’è finito quello spirito di libertà che avevamo noi quando non si vedeva l’ora di acquistare un po’ di autonomia per non gravare sulla famiglia? Non c’è più, perché loro non si son dovuti conquistare niente, hanno sempre avuto tutto bell’e scodellato e continuano, a quasi 40 anni, a vivere nelle famiglie di origine. Quando poi decidono di metter su famiglia per conto loro, inevitabilmente il matrimonio fallisce, perché abituati per troppo tempo a non avere pensieri, responsabilità, impegni.
Secondo caso: il mondo economico-finanziario-lavorativo corre velocemente oggi, la globalizzazione ci ha abituati a vivere ritmi e cambiamenti continui, internet ha accorciato le distanze. Laurearsi a 28 anni significa perdere parecchi treni, molte opportunità che un anno prima si potevano prendere. Anche qui c’è da dire che dipende anche dalla facoltà in cui si è iscritti: ce ne sono alcune che richiedono più tempo, altre meno e, però, guarda caso, sono proprio i giovani iscritti a queste facoltà, per lo più non scientifiche, che si laureano più tardi. Si attardano perché, casomai, lavorano e studiano; perché si iscrivono e lasciano passare il tempo, se la prendono con comodo, tanto c’è chi pensa a farli mangiare, pagare l’affitto, vestire, divertire, e intanto le occasioni di lavoro corrono più veloci dei neutrini… ci sono giovani fuori corso che non riescono a prendere nemmeno la laurea breve! E, allora, dico io: quando sei ancora matricola e ti accorgi che non ti piace, che hai sbagliato percorso, che hai altre attitudini e/o predisposizioni, perché non dirlo subito e cambiare strada? Per molti giovani è difficile, perché hanno il fiato sul collo dei genitori che si ostinano a pagare le tasse pur di vedere il figlio laureato… lo vedo a scuola, quando diamo il consiglio orientativo per le scuole superiori: se consigliamo un istituto professionale i genitori si offendono e li iscrivono ai licei, salvo poi, dopo un anno, ritirarli e iscriverli nelle scuole private, diplomifici per eccellenza. E invece un istituto professionale fatto bene ti dà un diploma qualificante, spendibile subito sul mercato del lavoro, che ha tanto bisogno di maestranze qualificate. Oltre al fatto che puoi comunque iscriverti all’università: in Emilia Romagna, in Veneto e in altre regioni del Nord, i migliori ingegneri vengono fuori proprio dagli istituti professionali. Penso sia questo ciò che quell’esponente politico volesse dire.
Terzo caso: io non vedo cosa abbia detto di strano il premier, quando è noto a tutti – o perlomeno a chi è informato e tiene il polso del mercato del lavoro – che il posto fisso non è più possibile averlo, nemmeno sognarlo. Ma questo è già da tantissimi anni, solo i figli dei soliti noti, soprattutto nella nostra regione, hanno ancora una corsìa preferenziale per la poltrona quarantennale.
Facciamo un passo indietro nel tempo: era il 1996, Tangentopoli imperversava in Italia e un magistrato di origini molisane che scandalizzò con le sue uscite autoctone – ma che c’azzecca? – tale Antonio Di Pietro, sull’onda del suo successo, pubblicò un testo di Educazione civica per le scuole medie, al cui interno c’era un capitolo, dedicato al mondo del lavoro. Bene, tra i vari paragrafi ce n’era uno intitolato: 10 consigli ai giovani per entrare nel mondo del lavoro”. Ecco il decalogo:

-     IMPARARE A LEGGERE E SCRIVERE BENE
-        IMPARARE LE LINGUE
-        IMPARARE ALMENO A GIOCARE E A SCRIVERE CON IL COMPUTER
-        NON TRASCURARE IL LAVORO MANUALE
-        ACCETTARE OGNI ESPERIENZA INIZIALE DI LAVORO (mai restare inattivi)
-        NON PIANGERE SULLE COSE CHE NON FUNZIONANO
-        RACCOGLIERE, ORGANIZZARE E ACCUMULARE “INFORICCHEZZE”
-        SVILUPPARE LA CULTURA DELL’INTERNAZIONALITA’ E DELLA MOBILITA’
-        INFORMARSI SUI CAMBIAMENTI DEL PROPRIO SETTORE
-        NON DIVIDERE LA VITA IN DUE PARTI, ALTERNARE SEMPRE STUDIO E LAVORO.

Ecco, cosa ha detto di più il premier di quello che già si conosceva? Ha parlato di monotonia, è vero, ma, secondo me voleva intendere non fossilizzarsi con una sola competenza, ma acquisirne di più per poter stare a galla, per competere, per confrontarsi. Io mi auguro che gli accordi che prenderanno per il lavoro dia a tutti i giovani precari il contratto a tempo indeterminato, ma che ne possano fruire non in un solo posto per 40 anni, ma che gli sia valido per tutte le esperienze che vorranno fare, in base alle loro attitudini e capacità. E’ una questione di apertura mentale, di cultura che dobbiamo recepire se vogliamo ancora stare in Europa a pieno titolo.

PS: mamma mia quanto ho scritto! perdonami:):):)

-         




Nessun commento: