martedì 5 febbraio 2013

io guardo intorno a me (...), ma vuota è la città!


Ieri sera ho fatto un giro in centro, in città: era tanto che non mi riusciva di “fare una stesa per il Corso” e desideravo proprio rituffarmi nella folla, vedere gente, salutare qualcuno, ma … che desolazione! A parte il freddo gelido, non c’era quasi nessuno e oltre ai soliti pensionati molto anziani, non c’era ombra di gioventù in giro. Ma dove sono i ragazzi, i giovani? mi sono chiesta. Un tempo c’erano delle zone del corso che pullulavano di giovani: la piazzetta, la villa dei cannoni, il tribunale, la villa comunale. Ora, invece, solo poche persone che attraversano in fretta il corso, i negozi stanno quasi tutti chiudendo e non c’è più calore, anche i lampioni danno una luce fredda e opaca.
Faccio una stesa e decido di andar via, pensando di impegnare meglio il tempo andando a fare la spesa. mi reco perciò in un centro commerciale e… eccoli qui! ci sono tutti, giovani, ragazzi, vecchi e bambini… buonasera professoressa, salve, tutto bene? una miriade di ex alunni mi saltano letteralmente addosso, mamme gentili, bimbi urlanti, persone sedute sulle panchine o ferme davanti alle vetrine, negozi pieni di gente che guarda, tocca, ma non compra, che esce ed entra, e mi sono domandata: come mai il centro città è spopolato, mentre il centro commerciale pullula di vitalità?
E ho cercato di analizzare il fenomeno: il centro commerciale richiama i clienti, li coinvolge emotivamente e mescola le loro attività di acquisto e di divertimento. È un luogo di socializzazione, dove quasi tutti, chissà perché, hanno stampato in viso un sorriso aperto;  anche  lo spazio delle merci è teatrale, perché vi si recita un carnevale continuo, è un paese dei balocchi in cui l'abbondanza è naturalmente sempre assicurata.
Tutti hanno un motivo per recarsi in un centro commerciale: le famiglie sono attirate dai prodotti 3 x 2, molti impiegati nella pausa pranzo scelgono di pranzare nei bar e ristoranti del centro; c'è chi sceglie invece di passare una giornata del fine settimana fermandosi al centro estetico o dal coiffeur, mentre i figli giocano nelle apposite aree; i giovani vi si incontrano, si vestono e si pettinano secondo l'ultima moda che il centro commerciale soddisfa in tutto; gli anziani, soprattutto quelli soli e meno abbienti, passano i loro pomeriggi per scambiarvi qualche parola, per scaldarsi in inverno e  per godere dell'aria condizionata in estate.
Tale fenomeno ha indubbiamente rivoluzionato le abitudini di molte persone, delle famiglie che qui pranzano o cenano, orari senza tempi, e molti vi trascorrono parecchie ore del loro scarso tempo libero … non solo dunque una  macchina per vendere, ma un vero e proprio luogo urbano protetto dove collocare altre attrazioni e nuovi modelli di interazione sociale.
Sono pochi coloro che riescono a resistere alla seduzione di tali strutture, soprattutto in questi ultimi due anni, a causa della crisi, le famiglie scelgono di recarsi in questi centri per poter risparmiare. Altri invece lo considerano un'oasi al riparo dal frastuono urbano, nella speranza di recuperare in quello spazio una parte di socialità smarrita fra le code del traffico e la videodipendenza. E poi, e questo me li fa preferire,  al loro interno non si fa politica, non si distribuiscono volantini, non ci si ubriaca, né si può eccedere in effusioni, non ci sono cartacce, urla, volgarità.
Tutto è smart, svelto, intelligente: si arriva con facilità sia in auto sia con i mezzi pubblici, e appena si entra si viene catturati da una sorta di ipnosi: colori, profumi e, soprattutto, una musica rilassante di sottofondo, che rallenta il ritmo e favorisce le soste davanti agli scaffali o alle vetrine. Non ci sono orologi , mentre la luce naturale penetra dall'alto per dare la sensazione che il tempo si fermi e possa essere speso nel miglior modo possibile … i visitatori fanno profonde immersioni in negozi simili a grandi acquari che non hanno né porte né saracinesche; la soglia fisica, ma anche quella psicologica, che abitualmente scoraggia i consumatori a entrare e uscire nei negozi tradizionali, permette al consumatore di avvertire gli spazi come suoi… è come essere in una blob-città, in luoghi-non luoghi dove si gira come turisti,  in un continuo e sconosciuto "altrove"
Mi chiedo: questi centri commerciali inducono a confondere la realtà con la fiction facendo ritrovare in una condizione di passività indotta da un processo di massificazione e omologazione culturale? oppure i centri commerciali sono «luoghi altri», in grado di strutturare un nuovo tipo di socialità?
Forse tutt’e due le cose, chissà. Per quel che mi riguarda frequento i centri commerciali e sono favorevole ad essi per due motivi: il risparmio, la varietà di scelta dei prodotti e l’occupazione:  quello che spendo, insieme a quello che spendono tante altre persone, serve per pagare gli stipendi di chi ci lavora, con orari massacranti, e non serve per arricchire un solo titolare di un esercizio commerciale. E poi, in una città piccola, povera e ormai scialba qual è la mia, ben vengano questi luoghi di aggregazione dove la gente può incontrarsi per sentirsi come a casa, visto che i nostri amministratori nulla fanno per rendere la città più vivibile, con più attrattive ludico-culturali.

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