mercoledì 31 ottobre 2012

Non dimentichiamoli


Sono passati già dieci anni da quel terribile giorno quando due  terribili scosse di terremoto, avvertite in tutta la provincia, provocarono il crollo di un solo edificio: una scuola e sotto di essa rimasero sepolti 27 bambini e la loro maestra. Da allora il terremoto ha continuato e continua  a fare danni in altre regioni d’Italia e, come al solito, quando se ne parla, si elencano i tragici eventi sismici succedutisi a più riprese in italia e vengono citati tutti: si torna indietro nel passato ogni volta che la terra trema e si ricordano ancora i terremoti del Belice, dell’Irpinia, del Friuli, dell’Aquila, le alluvioni delle 5 terre… tutti vengono menzionati e non una parola per quello che è successo a quei 27 bambini e alla loro maestra … mi sembra perciò doveroso oggi, a dieci anni dall’evento, ricordare queste povere anime innocenti e riporto un articolo tratto da un quotidiano locale.

“Basta chiamarli angeli”: il cimitero dei figli, tra ‘pellegrini’ e torte di compleanno

Nel 2012 sarebbero diventati maggiorenni, qualcuno avrebbe 16 anni, altri 19 o 20 anni e si sarebbero iscritti all’Università. I 27 bambini di San Giuliano di Puglia uccisi dal collasso della loro scuola durante il terremoto del 31 ottobre 2002 sono cresciuti nel ricordo straziato dei padri e delle madri, che nel cimitero trascorrono ancora ogni giorno e portano torte di compleanno per i figli. Non angeli immateriali, ma carne e vita e un futuro che si può solo immaginare, mentre ancora, da tutta Italia, sconosciuti lasciano ricordi e regali su quelle lapidi bianche in mezzo ai giocattoli.

San Giuliano Di Puglia. Oggi avrebbero 18 anni freschi di brindisi. Quest’anno, 2012, avrebbero spento le candeline della maggiore età quasi tutti, quei bambini che riposano da dieci anni nei bianchi loculi del cimitero più struggente d’Italia, uno accanto all’altro in una lenta, quieta successione di volti e guance paffute e sorrisi vivaci. 18 anni, 16 anni, qualcuno 19, qualcun altro venti. Sono morti il 31 ottobre del 2002, sotto le travi e i pilastri e i solai della scuola elementare Francesco Jovine, venuta giù come le costruzioni Lego quando il braccio capriccioso del piccolo ingegnere si abbatte sulla casetta colorata appena assemblata. Il compleanno l’hanno festeggiato uguale, proprio lì, dove i genitori hanno portato una torta, dove il silenzio sacro del luogo è interrotto di continuo dalle voci di altri bambini, fratelli e sorelle nati nel frattempo, cresciuti con la consapevolezza della morte, accarezzati dalle lacrime delle madri e dei padri che spolverano le tombe, cambiano i fiori freschi nei vasi, aggiustano le magliette dell’Inter, del Milan e della Juve che sventolano sotto la tettoia di legno costruita dai Vigili del Fuoco di Trento la mattina del 4 novembre di dieci anni fa, quando all’indomani dei funerali – mandati in diretta televisiva, seguiti da un Paese intero con gli occhi lucidi e il cuore sotto choc – le mamme di San Giuliano di Puglia piangevano per quei poveri figli bagnati dalla pioggia che presto sarebbe arrivata a spezzare il caldo strano dell’autunno del terremoto. «Non ci hanno pensato due volte, i Vigili del Fuoco – raccontano oggi quelle stesse madri, distrutte dalla tenerezza del ricordo – e hanno cominciato a mettere insieme la tettoia per riparare i loculi».
Anche loro, anche quei Vigili saranno nel paese il 30 e il 31 ottobre per le celebrazioni del decennale del terremoto del Molise. Torneranno, invitati dall’Amministrazione comunale, per deporre una corona di fiori nel Parco della Memoria, quella straordinaria metafora dell’esistenza che è diventato lo squarcio dove un tempo sorgeva la scuola fatta male, la sopraelevazione della vergogna, sbagliata, approssimativa, senza progetto. Il simbolo dell’Italia che fagocita nella sua trascuratezza criminale il più sacro dei diritti e il diritto dei suoi cittadini migliori.
Nel cimitero di San Giuliano di Puglia, immacolato e curatissimo come una bomboniera nuziale, non c’è nulla da preparare per un anniversario che nessuno vorrebbe ma che tutti saranno costretti a vivere in prima persona, rinnovando quel dolore che, come dicono i protagonisti, «è il più innaturale che esista: quello dei genitori che perdono un figlio bambino». Il cimitero è perfetto, lo è da un decennio, da quando è diventata la prima casa delle famiglie di questo paese.
Gli operai del Comune sono al lavoro da alcune settimane con carriole e ruspe per l’ampliamento del camposanto, lo spostamento della chiesetta e la sistemazione delle tombe, le più vecchie soprattutto. Due milioni e mezzo di euro e le polemiche che in questo paese massacrato nell’anima e sbrindellato nel tessuto sociale non mancano mai.
Però non sono le polemiche, i veleni sparsi tra ceri e lumini, a colpire in questo momento segnato dalla storia. Sono invece quei nomi incisi sul marmo, uno a uno, diversi e accomunati dalla data dell’ultimo giorno, là sotto tra le zucche arancioni di Halloween e l’odore dei frantoi seppellito dalla puzza del cattivo cemento collassato. Nomi che compaiono solo sulle lapidi, perché nelle targhe ricordo, sotto la scultura bianca che accoglie il visitatore all’ingresso del viale di cipressi, di nomi non ce ne sono. Per tutti, da sempre: i 27 angeli e la loro maestra. Doveva essere un omaggio alla loro innocenza – angelo, cosa può mai esistere di più puro e dolce? – ma è inevitabilmente e involontariamente diventato un modo per cancellare l’identità di quei morti. Lo dicono gli stessi genitori, che non finiranno mai di straziarsi, e che chiedono – quelli del Comitato Vittime, senza fronzoli, «basta a chiamarli angeli. Sono i nostri figli, hanno un nome, una storia».
«E semmai, semmai non si volesse o non si potesse citarli uno a uno, chiamateli semplicemente i bambini di San Giuliano di Puglia».
Bambini è carne e vita, corpi, pianti, braccia tese, paura del buio, risate argentine. Evocare i bambini è evocare un dolore che non si cristallizza nella dimensione di spirito e luce e immaterialità, e le madri e i padri di San Giuliano non ne possono più della retorica degli angeli. Proprio loro che arrivano al cimitero con la torta e 18 candeline da accendere e immaginano che scuola avrebbero scelto, quei figli uccisi dalla scuola, come sarebbero oggi, dieci anni dopo, ragazzi e ragazze fatti, magari una fidanzatina, l’iscrizione all’Università di Roma (di Bologna? di Chieti?), un sogno da portare avanti.
E’ un elenco lungo, quello dei figli.
Luca Jacurto, 6 anni. Morena Morelli, 6 anni, Valentina Picanza, 6 anni, Raffaele Picanza, 6 anni, Paolo Romano Jacurto, 6 anni, Antonella Borrelli, 6 anni, Maria Colantuono, 6 anni. Michela Buonaugurio - 6 anni. Valentina Ianiri, 6 anni. Martina Vassalli , 7 anni. Giovanna Ritucci, 7 anni. Maria Di Renzo, 7 anni. Luigi Petacciato, 7 anni. Maria Celeste Picanza, 8 anni. Sergio Di Cera, 8 anni. Antonio Astore, 8 anni. Antonio Di Renzo, 8 anni. Luigi Occhionero, 8 anni. Gianni Nardelli, 9 anni. Gianmaria Riggio, 9 anni. Luca Riggio, 9 anni. Melissa De Lisio, 9 anni, Lorenzo Francari - 10 anni. Giovanna Nardelli, 10 anni. Costanza Ferrecchia, 10 anni. Domenico La Fratta, 10 anni. Umberto Visconti, 9 anni. E Carmela Ciniglio, 47 anni, insegnante.

Sulle loro tombe, in quel cimitero che è come una cameretta di mobili bianchi e giocattoli, ancora sconosciuti che arrivano da tutta Italia lasciano un pensiero, una preghiera, un ricordo. «Spesso troviamo oggetti nuovi, lasciati lì chissà da chi – racconta Loredana, la madre di Antonio Di Renzo, terza elementare - un peluche, un fiore, un animaletto di ceramica dipinta. Non sappiamo chi venga al cimitero dei nostri figli, ma vediamo le tracce del passaggio di qualcuno che evidentemente non dimentica». Chissà se è una consolazione, un fragile sospiro di speranza, per queste 27 famiglie di San Giuliano di Puglia che da dieci anni abitano il luogo dei morti come si abita una casa qualsiasi, con la naturalezza di chi ha imparato a festeggiare un compleanno di 18 anni fra le tombe.
Tratto dal quotidiano locale online www.primonumero.it     (l’articolo non è firmato)

Restiamo umani

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